Diceva don Primo Mazzolari, il primo aprile del 1950: “Riuscirà quest’ anno la Pasqua a far primavera nel cuore dell’uomo? Ma volete che siano più duri i nostri cuori delle pietre? Che le nostre risse ci possano distogliere per sempre dalla Pasqua?”.
C’è un segreto desiderio in ognuno, che nasce dal grande desiderio del Cuore dei cuori: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22, 15).
A questo desiderio risponde la nostra povera voce: “Maestro, dove vuoi che ti prepariamo per mangiare la Pasqua quest’anno?”. Se prendiamo in mano i nostri rami d’ulivo, il pensiero ritorna alla pace. Alla pace preziosa, ma ancora così incompleta nei cuori e nella società. Alla pace così difficile e imperfetta fra alcune nazioni …
Alla pace sofferente e intollerabile dove manca il pane sufficiente per la fame dei poveri. Alla pace fittizia, dove manca la vera libertà civile e religiosa. Alla pace ferita e sanguinante, in diverse regioni del mondo colpito da conflitti rovinosi e micidiali, con atti nei confronti della vita sacrileghi. Alla pace minacciata da crescenti e spaventosi armamenti. Povera pace! Tanto desiderata, tanto necessaria, tanto acclamata, e ancora oggi tanto violata, offesa e tradita.
Dobbiamo sempre desiderarla e servirla, e non perdere la fiducia di poterla raggiungere.
Occorrerà generarla, ed è possibile perché Cristo è la nostra pace. Dovremmo unire l’olivo alla croce per attingere luce e conforto nelle lotte quotidiane: allora ci accorgeremmo che la Pasqua è un pianto consolato, un dolore placato, una fame saziata, una nudità coperta, una morte che porta on sé l’esplosione della vita.
A conclusione di questi brevi pensieri, vi invito a riflettere su un brano di un’omelia di san Giovanni Crisostomo:
“Tutta la terra è diventata santa”
“Un tempo la croce era nome di condanna, ora è diventata oggetto di venerazione; un tempo era simbolo di morte, oggi è principio di salvezza. La croce è diventata per noi la causa di innumerevoli benefici: eravamo divenuti nemici e ci ha riconciliati con Dio; eravamo separati e lontani da lui, e ci ha riavvicinati con il dono della sua amicizia. Essa è per noi la distruzione dell’odio, la sicurezza della pace, il tesoro che supera ogni bene. Grazie alla croce non andiamo più errando nel deserto, perché conosciamo il vero cammino; non restiamo più fuori della casa del re, perché ne abbiamo trovato la porta; non temiamo più le frecce infuocate del demonio, perché abbiamo scoperto una sorgente d’acqua. Per mezzo suo non siamo più nella solitudine, perché abbiamo ritrovato lo sposo; non abbiamo più paura del lupo, perché abbiamo ormai il buon Pastore. Egli stesso, infatti, ci dice: ‘Io sono il buon pastore’ (Gv 10,11).
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Grazie alla croce non ci spaventa più l’iniquità dei potenti, perché sediamo a fianco del re [ … ]. Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato per noi. Immolato, ma dove? Su un patibolo elevato da terra. L’altare di questo sacrificio è nuovo, perché nuovo e straordinario è il sacrificio stesso. Uno solo è, infatti, vittima e sacerdote: vittima secondo la carne, sacerdote secondo lo Spirito.
Questo sacrificio è stato offerto fuori dalle mura della città per indicare che si tratta di un sacrificio universale, perché l’offerta è stata fatta per tutta la terra. Si tratta di un sacrificio di espiazione generale, e non particolare come quello dei giudei. Infatti ai giudei Dio aveva ordinato di celebrare il culto non in tutta la terra, ma di offrire sacrifici e preghiere in un solo luogo: la terra era infatti contaminata per il fumo, l’odore e tutte le altre impurità dei sacrifici pagani. Ma per noi, dopo che Cristo è venuto a purificare tutto l’universo, ogni luogo è diventato un luogo di preghiera.
Per questo Paolo ci esorta audacemente a pregare dappertutto senza timore [ … ] perché tutta la terra è diventata santa”.