13.11.2022 – 33^ del Tempo Ordinario: Una prova nelle prove
, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,Luca scrive il suo Vangelo circa 50 anni dopo la morte e risurrezione di Gesù (85 d.C?). Si sono susseguite, nel frattempo, guerre e cambiamenti politici, la distruzione del tempio di Gerusalemme, le persecuzioni dei cristiani. E si cercava una spiegazione. Allora come oggi si poteva pensare alla fine del mondo rifacendosi alle stesse parole di Gesù: “Vi saranno di luogo in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti… metteranno le mani su di voi”. Ma è proprio così? Ora proviamo di immaginare delle persone che ammirano estasiate un magnifico edificio storico, e si sentono dire che di tutta quella bellezza non resterà nulla. È ovvia la domanda: quando accadrà e come ci accorgeremo? Gesù non dice quando ma mette in guardia i suoi discepoli da chi assicura che la fine del mondo è vicina. Anzi dice di non seguire gente del genere che inganna e travisa le sue stesse parole.
Gesù usa il linguaggio apocalittico per dire ai discepoli che è imminente il passaggio fra le due epoche della storia. Il suo quindi è un annuncio di gioia e di speranza: chi è nel dolore e attende il regno di Dio deve sapere che sta per spuntare l’aurora di un nuovo, splendido giorno. Ecco perché dice di non spaventarsi.
Egli tuttavia non dice il perché ma il segno lo dà: non sono i trionfi, gli applausi, l’approvazione degli uomini, ma le persecuzioni fino alle calunnie e al tradimento da parte degli stessi familiari e dei migliori amici. E di fronte a queste situazioni anche la a scelta di Lui può entrare in crisi tanto da far pensare che si sta sbagliando e può nascere lo scoraggiamento e la ricerca di “difese umane”.
E invece è proprio in mezzo a questo tragico disastro che arriva una parola nuova da non poter contraddire e sarà testimonianza di qualcosa e di qualcuno che ha già vinto.
Cosa fare, allora, quando ci si sente bersagliati da odio e violenza, o si è in balia della prepotenza? Conosciamo già l’atteggiamento che Gesù ci ha indicato: dobbiamo amare i nemici, fare del bene a chi ci odia, benedire chi ci maledice, pregare per chi ci maltratta. Occorre partire al contrattacco e vincere l’odio con le armi dell’amore, non credendo di potersi difendere utilizzando la logica del mondo ma anzi convincersi che la forza dei discepoli sta in ciò che gli uomini considerano fragilità e debolezza; essi sono pecore in mezzo ai lupi, non possono travestirsi da lupi.
In concreto: amare per primi, stare attenti a non “odiare” nessuno, neanche in maniera nascosta e sottile. Perché, in fondo, questo mondo che rifiuta Dio, ha bisogno di Lui, della sua misericordia.
Sta in questo l’essere perseveranti nel mantenere e vivere di fede in un mondo tornato ad essere pagano (cfr 2Tm 4,6), saldi nella speranza contro ogni speranza nella promessa di un mondo futuro colmo di sorpresa (cfr Rm 4,18) e nella carità, amando senza tregua nei mille modi che la vita presenta (cfr Mt 25,31e seguenti). È il segno che un mondo futuro è già iniziato!
L’aveva capito bene quel missionario che a Chipene, nel nord del Mozambico, di fronte agli spari di cui fu vittima suor Maria De Coppi, batte sul cellulare agli amici quelle scarne righe: «Qui sparano. Ci vediamo in Paradiso. Stanno incendiando la casa. Se non vi risento, approfitto per chiedervi scusa delle mie mancanze e per dirvi che vi ho voluto bene. (ps: ho perdonato chi eventualmente mi ucciderà. Fatelo pure voi. Un abbraccio»).