22.10.2023 – 28^ del Tempo Ordinario: Settimanale da consultare e stampare

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La Palestina, al tempo di Gesù, era occupata dai romani e soggetta alle leggi di Roma. Segno di questo assoggettamento era il tributo che i Giudei dovevano versare all’erario romano. Per quanto riguarda il pagamento del tributo, tra gli stessi ebrei vi erano posizioni divergenti: per gli erodiani (filo-romani) il tributo non costituiva problema; gli zeloti, contrari per principio alla presenza romana, vi si opponevano; i farisei, infine, pagavano rassegnati la tassa per evitare il peggio.
Farisei ed erodiani inviano a Gesù una delegazione con una domanda trabocchetto, messa insieme con grande abilità: “È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. Qualunque sia la risposta Gesù è perduto: se si pronuncia contro il versamento del tributo sarà denunciato come un pericoloso sovvertitore delle leggi di Roma quindi un agitatore del popolo; se invece si dichiara favorevole al pagamento cesserà di apparire agli occhi del popolo come il Messia atteso. La straordinaria soluzione di Gesù è un monito molto concreto e non solo una affermazione di principio. Da un lato egli proclama il dovere umano, civile e morale, di pagare le tasse, cioè di collaborare alla vita politica e al bene comune della società terrena.
D’altro canto, però, Gesù afferma con vigore l’autonomia della coscienza e della dignità umana che non può essere conculcata da nessun potere politi-co prevaricante.
Col rendere “a Dio quello che è di Dio” nel tempio della liturgia, della casa, della coscienza personale, il cristiano deve rendere “a Cesare quel che è di Cesare” nella città, nel lavoro, nella politica, nella società.
Siamo fatti a “immagine e somiglianza” di Dio: nella nostra realtà più intima e profonda apparteniamo a Dio: per lui facciamo ogni cosa con perfezione, anche il nostro impegno di cittadini.