A cinquant’anni della pubblicazione del Messale Romano di Paolo VI, 1’8 settembre 2019 è stata promulgata la terza edizione in lingua italiana del Messale Romano, che diverrà obbligatoria a partire del 4 aprile 2021 in tutto il territorio nazionale, ma può essere utilizzata già dal 29 novembre, prima domenica di Avvento. Ciò è frutto di un lavoro iniziato nel 2002 e che ha avuto un percorso lungo e non sempre facile.
Dalla pubblicazione della nuova edizione del Messale sono stati scritti un’infinità di commenti e riflessioni. In mezzo a tante informazioni era inevitabile che si creasse confusione tra i pastori d’anima e tra il popolo di Dio, a causa di una certa imprecisione nella descrizione delle variazioni presenti nella nuova edizione e della difficoltà a distinguere un commento da una riflessione e poi, se essi siano di carattere personale, frutto di uno studio oppure scritti da coloro che hanno partecipato in forma diretta ai lavori.
Per eliminare ogni elemento di confusione la Cei, lo scorso 19 ottobre, ha pubblicato un sussidio pastorale intitolato: “Un Messale per le nostre assemblee”, dove i vescovi si rivolgono alle comunità con questo invito: «Riscopriamo insieme la bellezza e la forza del celebrare cristiano, impariamo il suo linguaggio – gesti e parole – senza appiattirlo importando con superficialità i linguaggi del mondo. Lasciamoci plasmare dai gesti e dai “santi segni” della celebrazione, nutriamoci con la lectio dei testi del Messale». Il documento presenta una sintesi delle variazioni della nuova edizione del Messale. Qui mi preme sottolineare alcune variazioni, che sono importanti per i fedeli. Innanzitutto si tenga ben presente che non siamo di fronte a un “nuovo Messale”, ma a una “nuova edizione”: non “cambia la Messa”, ma la arricchisce e ci aiuta a interiorizzare e a entrare meglio nel Mistero pasquale che si realizza nella celebrazione eucaristica.
A tal proposito il Concilio Vaticano II, nella Sacrosanctum Concilium n. 10 dice: «La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte di cui promana tutta la sua energia». E al n.14 troviamo un «ardente desiderio della madre Chiesa», madre premurosa verso i suoi figli, che ci sia un’actuosa partecipatio, cioè una «piena,
consapevole e attiva partecipazione» dei fedeli all’azione liturgica.
Veniamo, dunque, alle parti che vogliamo evidenziare. Queste e altre variazioni hanno come motivazione principale la fedeltà al testo dell’edizione latina – punto di riferimento per l’intera Chiesa cattolica – del 2002 e 2008 e al testo biblico della versione della Bibbia Cei del 2008.
Il Gloria, antichissimo inno, ha una variazione all’inizio: dove prima c’era «… pace in terra agli uomini di buona volontà», adesso abbiamo “… pace in terra agli uomini amati dal Signore». Il testo a cui fa riferimento è Lc 2,14, con una piccola variante per favorire il canto. Riferendosi al vangelo di Luca, abbiamo come base la
lingua greca che usa il verbo eudohia, cioè la benevolenza di Dio verso gli uomini, e quindi,
amati dal Signore.
Il Padre Nostro ha una notevole variazione alla fine: a «… e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo …», è stata aggiunta la congiunzione “anche”, «… e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo …», così Dio risalta come il modello da imitare nel rimettere i debiti. La seconda variazione, che è stata molto commentata, è: «… e non ci indurre in tentazione …», che diventa «…e non abbandonarci alla tentazione». Questo perché l’originale greco è eisfero, cioè “non lasciare cadere in”. In aramaico troviamo: «nella tentazione non sciogliere l’abbraccio così che io cada».

In ultimo, abbiamo una variazione che interessa ai fedeli, non perché spetti a loro pronunciarla, ma perché modifica le parole che precedono la loro risposta: è l’invito alla comunione. La novità consiste in un semplice spostamento delle parole che accompagnano il gesto di mostrare l’ostia sollevata sulla patena o sul calice. Al posto di «Beati gli invitati alla cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo», abbiamo: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello». Il criterio di tale modifica è una maggior fedeltà alla struttura ostendere – invitare – rispondere dell’edizione latina. Il raddoppio dell’avverbio “ecco” dà forza all’invito a riconoscere e adorare l’Agnello immolato per la nostra salvezza come segno del suo amore per noi. L’invito a partecipare alla cena dell’Agnello è un riferimento al passo dell’Apocalisse (19,9) dove abbiamo l’aggiunta di una delle beatitudini neotestamentarie a quelle evangeliche.
Questa nuova edizione è un’opportunità di riscoprire la bellezza evangelizzatrice della liturgia, è un’occasione per «una catechesi di carattere mistagogico, che porti i fedeli a penetrare sempre più profondamente nei misteri che vengono celebrati». (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n.64).

Paulo Renato Mendes Gauto, sacerdote, studente al Pontifico Istituto Liturgico Sant’Anselmo
(da Emmaus Macerata sette)