08.09.2024 – 23^ Domenica del Tempo Ordinario: ORECCHIO ATTENTO E LINGUA SCIOLTA – Mc 7,31-37
, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,Gesù si adegua alla mentalità della gente che vedeva compiere gesti misteriosi anche da altri guaritori, ma conferisce ad essi un significato nuovo. Li ritroviamo nel rito del battesimo.
Il sordomuto non si presenta a Gesù da solo. Nella chiesa primitiva, coloro che per primi si accostavano a un uomo ripiegato su se stesso, lontano da Dio, chiuso al dialogo con i fratelli e lo prendevano per mano, gli parlavano di Gesù e nel giorno del battesimo fungevano giustamente da padrini.
Poi si nota che il miracolo avviene lontano dalla folla. È il solito Gesù non vuole si diffonda la notizia che è lui il messia.
Quindi prima di compiere il miracolo, Gesù alza gli occhi al cielo ed emette un sospiro. Nell’antichità i guaritori compivano spesso simili gesti. … ma compiuti da Gesù, questi gesti divengono preghiera (Mc 6,41), sono segni della sua unione con il Padre e, per noi, un invito a stabilire un rapporto più profondo con il Signore prima di intervenire per aiutare un fratello. Solo dopo aver “inspirato” lo Spirito, l’alito di Dio, siamo in grado di comunicare questa forza vivificante a chi si trova in condizioni di morte.
Il gesto di porre le dita nelle orecchie è lo stesso che viene compiuto nel battesimo. Il ministro tocca l’orecchio del battezzando con il pollice e prega: “Il Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti ti conceda il privilegio di ascoltare presto la sua Parola e di professare la tua fede”.
Il cristiano non è solo colui che può ascoltare il vangelo, ma è anche colui che è abilitato ad annunciare il messaggio che ha udito.
Per capire il gesto della saliva ci si deve rifare alla concezione popolare, la considerava una specie di concentrato dell’alito, una materializzazione del respiro. Toccando, con la sua saliva, la lingua del sordomuto, Gesù ha dunque inteso comunicargli il suo respiro, il suo Spirito. È quanto avviene nel battesimo: il cristiano riceve lo Spirito di Cristo che lo fa divenire suo profeta, messaggero del suo vangelo.
Effatà è una parola aramaica, la lingua parlata da Gesù, e significa “Apriti!”. Non è rivolta all’orecchio, ma all’uomo che prima non era in grado di udire. È l’invito a spalancare le porte del cuore e a lasciar entrare Cristo e il suo vangelo nella propria vita.
Dio ha fatto udire i sordi e parlare i muti.
La folla canta la propria gioia perché si è compiuta la profezia di Isaia (35,5-6). Questo grido riconoscente è la professione di fede della comunità che ha visto un altro uomo giungere alla salvezza. Ora questo fratello è in grado di partecipare all’assemblea che si raduna, nel giorno del Signore. Si unisce alla comunità per ascoltare la Parola e proclamare, non balbettando, ma in modo ben articolato e cosciente, le meraviglie di Dio. Ha fatto l’esperienza della potenza risanante che proviene dal contatto con Gesù e vede ripetersi, nei sacramenti, per sé e per gli altri, quei medesimi gesti che lo hanno salvato.
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