Attraverso le nostre cadute Dio completa le imperfezioni che ci costituiscono

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Mai davvero compiuti, sempre in evoluzione fino all’ultimo respiro, siamo un cantiere aperto che non smette di chiedere ulteriori interventi.
E allora perché Gesù dice: «siate perfetti come perfetto è il Padre vostro» (Mt 5,48)? La liturgista Giuliva di Berardino spiega: «l’espressione “siate perfetti” significa “lasciatevi completare” da Dio. Si tratta dunque di un invito di Gesù a lasciarci amare ancora di più da Dio, affinché il suo Amore “sia completato” in noi e attraverso di noi. Per realizzare questo processo di completamento, però, è necessario che ciascuno di noi si faccia riempire di potenza e di vita, cioè di Spirito Santo. Si racconta che un giorno Santa Caterina da Siena, patrona d’Italia, vide Gesù che le disse: «Caterina, tu fatti capacità e Io mi farò torrente». La mia pienezza, dunque, può iniziare a realizzarsi quando, svuotato di me stesso, mi affido all’azione vivificante di Dio.
Aggiungo al passo di Matteo quello parallelo di Luca, dove le parole di Gesù suonano così: «siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Risultato: avrò conferma che la divino-umanità di Cristo si sta compiendo anche in me, quando il mio sguardo misericordioso abbraccerà l’uomo, la donna, che stanno di fronte a me, senza che il peccato che quella persona porta con sé possa impedirmelo.
«Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Zc 12,10). E per vedere cosa? La fonte di quello sguardo misericordioso è nella sconcertante follia di un Dio che non fa trincee a protezione della propria divina perfezione. Per lasciarsi sbilanciare dal Dio che spinto dal suo amore non sta in equilibrio e cade dal suo trono. Cade nascendo per strada tra paglia e sporcizia di una stalla. Cade fino agli arnesi di una bottega e al sudore e ai calli di un falegname. E ancora cade fino al patibolo di un Dio che muore tra ladroni, abbandonato dai suoi, abbandonato da Dio stesso.
Dio manifesta perfettamente, cioè pienamente, il suo amore, scendendo senza condizioni, nella più radicale e aberrante imperfezione dell’uomo.
Vale la pena mettersi in ascolto della tradizione spirituale orientale che spesso sa essere molto illuminante .
«Un novizio interrogò Padre Anatolij: “Padre mio, cosa provasti nel giorno della tua ordinazione?” Il vecchio monaco rispose: “Figlio mio, prostrato dinanzi all’altare, sentii tutta la mia fragilità, il peso della mia miseria. Avrei volutolasciare tutto.
Mentre ero lì, disteso a terra, mi si avvicinò un bambino che strattonandomi il braccio diceva: ‘Sei caduto? Ti sei fatto male? Alzati!’. Tutti risero tranne me. Si era intenerito il cuore di qualcuno per quella mia fragilità e il mio dolore non era passato inosservato. Compresi, allora, che il senso della mia chiamata non era nelle impossibili perfezioni che mi ero prefisso, ma nel mettere a nudo la mia pochezza, certo che qualcuno si sarebbe chinato sulla mia caducità. Non mi conformavo a Cristo nelle sue perfezioni, ma nel suo abbassarsi; né sposavo una chiesa trionfante, bensì una chiesa bambina dal cuore tenero, che in quell’istante non vedeva altro che un uomo caduto cui serviva una mano per rialzarsi. Figlio mio, ormai sono vecchio, ma sto ancora cercando di rialzarmi”. Il giovane gli disse porgendogli il braccio: “Poggiati, padre mio, rientriamo in casa”».
Dio ama gli uomini. Anche, e soprattutto, quelli che sono caduti e non riescono a rialzarsi. L’Emanuele, il Dio con noi, per amarci, non aspetta che noi ci rialziamo, preferisce cadere e cadere sempre più giù, fino a dove noi siamo. È per questo che l’amore, l’amore di Dio, l’amore del prossimo, non è impossibile. Contemplando Dio caduto per amore, camminando e cadendo dietro a lui, impariamo ad amare. Cioè a cadere per amore!
di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di Messaggero Cappuccino

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