Io sono uno straniero

Pubblicato da Stefano, Con 0 Commenti, Categoria: Articoli,

Arrivò la notte e le tenebre coprirono tutta la terra. Le luci brillarono sia nei palazzi che nelle umili abitazioni e uscirono le persone a passeggiare per le strade con i loro vestiti nuovi, manifestando nei loro atteggiamenti l’allegria e la soddisfazione.

Io camminavo solitario nella notte, pensando a colui di cui si festeggia il Natale; pensando alla fiaccola che lo Spirito universale accese in un paese di campagna e che si innalzò illuminando i secoli, proiettando la sua luce attraverso tutte le civiltà. Quando arrivai nella piazza, mi sedetti sopra una panca di legno e contemplai attraverso i rami nudi degli alberi le strade affollate, ed ascoltai la canzone degli uomini che camminavano su una passerella di spensieratezza e di allegria. E dopo un’ora piena di pensieri e di sogni, voltai il capo e vidi un uomo seduto al mio fianco. Aveva tra le mani un bastone e con la punta disegnava figure confuse sulla sabbia.

– “Sei un solitario come me?”, mi chiese.

Lo guardai fissamente e osservando la sua persona mi accorsi che nonostante i suoi vestiti laceri ed i suoi capelli disordinati incuteva rispetto e timore. Come se si fosse accorto della osservazione minuziosa che io facevo della sua persona, mi guardò e con voce tranquilla disse:

* “Buona Notte”.

E ritornò a scarabocchiare, con la punta del bastone, goffe figure per terra.

Poiché mi piaceva il tono della sua voce, poco dopo gli rivolsi la parola e gli domandai:

– “Sei straniero?”.

– “Sì, sono straniero in questa ed in tutte le città del mondo”.

Io gli risposi allora:

– “In queste feste gli uomini diventano più buoni; il ricco ricorda il povero, il forte partecipa alla sofferenza del debole”.

– “Sì, mi disse, tuttavia la compassione che prova il ricco per il povero è una specie di amor proprio e la benevolenza del forte verso il debole non è altro che una manifestazione di superiorità e di orgoglio”.

– “Forse hai ragione; tuttavia, che importa al debole ed al povero delle pretese e dei desideri che prova il forte ed il ricco? L’affamato povero sogna il pane, però non pensa al modo in cui è ammassato”.

– “Chi riceve non pensa, ma colui che dona deve pensare profondamente”.

Le sue parole mi turbarono. Dopo averlo osservato alcuni minuti in silenzio, gli dissi:

– “Mi pare che necessiti di qualche cosa, accetti un po’ di denaro?”.

– “Necessito di una casa, ho bisogno di riposare”.

– “Prendi intanto questo denaro e vai ad affittare una casa”.

– “Sono già stato in tutte le pensioni di questa città e non ho trovato nessun posto per me. Ho bussato a tutte le porte e non ho incontrato un amico, sono entrato in tutti i refettori e non mi hanno dato un pane”.

– “Scusami, gli dissi, non so chi tu sia, anche se le tue parole mi rattristano profondamente. Io ti invito a passare la notte a casa mia”.

– “Mille volte ho bussato alla tua porta e tu non hai mai aperto”.

– “Vieni adesso, e passerai la notte in casa mia”.

Egli alzò la testa e mi rispose: – “Se tu sapessi chi sono non mi inviteresti”.

– “E chi sei tu?”, gli domandai.

La sua voce tuonò come la cascata di un fiume.

“Io sono la Rivoluzione che sconvolge le nazioni. Io sono la tempesta che sradica gli alberi, che dischiude i secoli. Io sono colui che è venuto sulla terra per portare la spada e non la pace”.

Si alzò, allora, con il volto brillante di luce, aprì le braccia e nel palmo delle sue mani apparvero i segni dei chiodi. Allora caddi in ginocchio davanti a lui ed esclamai: “Gesù di Nazareth!”.

E udii che egli diceva in quel momento:

– “Gli uomini festeggiano il mio nome e le tradizioni dei giorni che accompagnarono la mia vita tra loro. Tuttavia, io sono uno straniero: vivo vagabondo dall’Oriente all’Occidente e non c’è uomo in tutte le nazioni che conosca la verità. Gli animali hanno le tane, gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo”.

Impressionato lo guardai, ma non vidi che una colonna d’incenso; ascoltai e non udii che la voce della notte che veniva dal profondo dell’eternità.

(Gibran Khalii Gibran)