La pandemia offre a tutti un “segno”: non ci possiamo salvare che tutti insieme e non c’è possibilità alcuna per nessuno di scampare a scapito degli altri. Non basterà superare l’emergenza, bisognerà imparare da quello che l’umanità sta soffrendo. È partire da un riconoscimento delle colpe commesse, in tanti modi, contro la casa comune del creato e contro il corpo sofferente dei piccoli e dei poveri. Se non riconosciamo gli errori, cominciando a mettere tra parentesi le accuse contro gli altri, nessun futuro sarà veramente possibile per nessuno, nemmeno per i ricchi e i potenti che il virus non distingue e non risparmia.
La costrizione del confinamento, la fatica di non poter uscire di casa neanche per andare a lavorare o di non poter coltivare i propri affetti nemmeno in punto di morte, ha stravolto la vita di milioni di persone.
Ma non basta essere stravolti per divenire uomini e donne migliori, popoli e culture più saggi. Se aspettiamo solo di riprendere a vivere come prima il prezzo, già ampiamente pagato all’indifferenza, diventerà ancora più salato tanto da rischiare di essere ingestibile.
Al contrario, dopo essere stati costretti a fermarci e a cancellare buona parte dei nostri programmi, da quelli personali, familiari e professionali a quelli economici e internazionali, possiamo scegliere di fermarci tutti insieme. Fermarci per pensare e decidere con libera volontà per entrare, tutti insieme, in un processo di sapienza. Sarebbe auspicabile prendere un tempo di seria riflessione e di onesta rilettura della nostra recente storia di globalizzazione, non per riparare i danni semplicemente, ma per sperare insieme in modo nuovo.
In un tempo della storia post-cristiano e post-religioso, forse questa è l’occasione per gli uomini e le donne di fede di diventare profeti di un’umanità possibile e desiderabile. Se come credenti sapremo unirci per servire alla causa comune dell’umanità, persino le religioni e gli uomini e le donne che le rappresentano diventerebbero più affidabili, come più credibili diventerebbero le nostre pratiche religiose plurimillenarie.
Le religioni, come diceva Carl Gustav Jung, sono un «complesso sistema di preparazione alla morte» chiamate a mettersi a servizio della vita per tutti «in abbondanza» (Gv 10, 10).
Il tempo che viviamo rischia di essere la grande occasione perché le religioni, e in particolare quella cristiana, vivano un tempo di compimento e di incremento in autenticità.
Una profezia risuona ancora nell’aria che, a causa delle restrizioni, si è fatta più respirabile: «Così dice il Signore degli eserciti: In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: “Vogliamo venire con voi, perché abbiamo udito che Dio è con voi”» (Zc 8,23)
Fratel MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino
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