24.03.2019 – 3^ Quaresima: LA CONVERSIONE E I SUOI FRUTTI

Pubblicato da Stefano, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,

Se non vi convertite, perirete” (Lc 13,3.5)

Gesù pone come condizione di vita, e vita piena, la conversione.

È l’indicazione per un cambio di mente e, quindi, di mentalità. È il passaggio dal peccato ad una vita nuova che ci vuole nella storia dell’uomo di sempre. Si tratta di togliere di continuo dalla propria vita ciò che impedisce la relazione con Dio e, di conseguenza con l’altro.

Il peccato infatti è la chiusura in se stessi che può diventare anche misura della propria salvezza: sono tranquillo quando ho fatto quel che dovevo fare, con la superba aggiunta: se ognuno fosse come me tutto andrebbe meglio. Non è detto a parole, che sarebbero disdicevoli, ma a fatti, che è ancora peggio.

“Allora disse al vignaiolo: taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?” (Lc 13,7).

Sarebbe la conseguenza logica per chi pensa solo a sé e, se può, toglie possibilità di vita all’altro; e anche una lezione per tutti coloro che tendono a vivere alle spalle degli altri e rifuggono da una responsabilità sociale e comunitaria.

“Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime” (Lc 13,8).

Tagliarlo? È un’affermazione umana, come se Gesù parlasse come noi, ma la volontà di Dio è la speranza che si protrae di anno in anno. È così che un anno diventano anni disponibili per il cammino di conversione segnato da momenti provvidenziali

1.  L’operazione “zappa”.

È l’esperienza di fatti che sono capaci, in qualche modo, di svegliare dalla noia, dal torpore e dalla pigrizia. Sono le prove della vita che arrivano puntuali non come sventure ma come occasioni opportune per la conversione, per capire meglio che non si può vivere alla giornata, senza scopo e senza meta, senza la relazione con l’altro che equilibra e armonizza l’animo.

2.  Funzione “concime”.

Siamo di fronte a qualcosa di riluttante ma che, una volta assunta e metabolizzata, diviene del tutto salutare. Si tratta di imparare, ad esempio, a fare bene ciò di cui non si avrebbe voglia, di fare per prima cosa ciò che costa di più, non rispondere istintivamente alle provocazioni, pregare per chi fa del male, amare il nemico – facendo verso di lui il possibile, sempre nel rispetto delle sue scelte – lasciando comunque aperta la porta.

“Vedremo se porterà frutti per l’avvenire” (Lc 13,9).

Quali frutti potrebbero essere?

L’umiltà attiva.

L’aver capito che la vita non è un affare privato, che è lasciato alla gestione personale, ma è un dono da vivere in donazione e da far fruttare.

La misericordia assaporata.

Quella di Dio per sé che diventa poi un essere misericordiosi con gli altri.

La miseria percepita.

Dire: ho osservato la miseria del mio popolo. Essere accanto alla sofferenza di ogni uomo, mettersi nei suoi panni.

L’accusa di se stessi

Aver compreso ciò che dice s. Paolo: chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. È aver assunto uno stile di vita che porta a guardare il proprio operato piuttosto che quello di altri.

E questo il segno evidente della vera conversione dal peccato!