12.04.2015 – 2^ Domenica di Pasqua: La vita dei credenti!

12.04.2015 – 2^ Domenica di Pasqua: La vita dei credenti!

Pubblicato da Stefano, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,

È sera.  I discepoli vivono come se Gesù fosse morto, come morti essi stessi: sono rinchiusi in casa, assediati dalla tristezza e dalla paura. Ironia della sorte: il sepolto vive mentre i vivi sono sepolti!

Gesù viene ed è l’inizio dell’azione che capovolgerà la situazione di partenza. Egli si avvicina e non passa altre; si ferma in mezzo a loro, centro della comunità, punto di irradiazione dello Spirito e della Vita. Dice: Pace a voi! La shalom ebraica è per eccellenza il dono dei tempi messianici.

Uno dei dodici, Tommaso, chiamato “didimo” (gemello) subisce una forte tentazione.

Il suo stato d’animo è quello degli altri. Con la differenza che egli lo manifesta con rabbia. È deluso di Gesù: non si è mostrato con la forza e il vigore contro i nemici come lui si aspettava. È stato debole! È deluso anche di sé: si è accorto di non avere il coraggio che aveva proclamato (Gv 11,16: “Andiamo anche noi e moriamo con Lui”; Gv 14.5:”Io sono la Via, la Verità e la Vita). In più si aggiunge l’irritazione e l’invidia per gli altri, perché loro hanno visto, credono, e lui è rimasto escluso.

Tutto ciò crea in lui una mistura esplosiva, che lo porta come ad un raptus di malumore, di scontentezza, di scontrosità, dalla quale escono cavilli e diffidenze, che sembrano all’apparenza rigidamente razionali, ma sono il frutto di una profonda confusione, stanchezza e scontentezza interiore.

Gesù non si irrigidisce, non giudica in maniera totalmente negativa, allontanando Tommaso da sé. È sì come un cavallo imbizzarrito, che non sa più tenere il suo passo, ma lo supera con un atto d’amore sorprendente. Là dove Tommaso aveva espresso delle esigenze cavillose e pretenziose egli si mette a disposizione nella sua debolezza di Crocifisso:

 

“Metti qua il tuo dito, guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato. Conosci la mia debolezza, la mia sofferenza, la mia morte e specchiati in esse. Conosci la mia vita e la mia morte per te. Non essere più incredulo ma credente. Anche la tua debolezza è per la resurrezione. Testimonia con essa che io sono vivo”.

Va detto un grande grazie a Tommaso, che è il «gemello» di ciascuno di noi
quando cerchiamo di essere persone autentiche e credenti nella verità del cuore.

I suoi amici gli dicono con entusiasmo: «Abbiamo visto il Signore!» (20,25). Egli non nega che questo sia vero per loro, ma desidera che ciò divenga profondamente vero anche per se stesso in un modo unico e personale. Certo la Chiesa ci trasmette la fede, ma solo nel nostro cuore possiamo patire fino a sentire fino in fondo il fuoco trasformante di una relazione consapevole capace di cambiare la vita.

Il fatto poi che Tommaso sia riuscito a far ritornare ancora il Signore risorto per poterlo incontrare personalmente, ci dà la speranza che questo possa avvenire anche
per noi… sì, per ciascuno di noi chiamato a dire non solo in modo vero, ma in modo intimo … di tutto cuore: “Mio Signore e mio Dio!” (20,28) cioè tu sei l’unico mio bene. Che è il superamento dei segni e realizza l’affidamento totale a Gesù.

Le nostre parrocchie non dovrebbero pian piano trasformarsi da “quelli che vanno in Chiesa” a “coloro che testimoniano che Gesù è vivo”? Strumenti piccoli, poveri quanto si vuole, ma che fanno cantare le misericordie del Signore.

“I cristiani non dovranno e non potranno mai essere segno di potere per risolvere i grandi problemi, ma hanno il potere con la loro vita di essere sempre e dovunque un “segno” del Risorto” (Tonino Bello).