25.04.2021 – 4^ Domenica di Pasqua: l’amore non conosce confini

25.04.2021 – 4^ Domenica di Pasqua: l’amore non conosce confini

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Per Israele era normale la vita nomade dei pastori e l’allevamento di pecore e capre. Ed era anche naturale che passando molto tempo in luoghi isolati con il gregge, nascesse fra il pastore e le sue pecore, un rapporto affettivo. Il pastore chiamava ogni pecora per nome e questa ne riconosceva la voce.

C’erano certamente dei pericoli per via di animali selvaggi che, nei tempi biblici, popolavano la valle del Giordano: iene e sciacalli, leoni e orsi contro i quali i pastori erano pronti a battersi, armati di fionda e di un bastone robusto, reso più efficace da pezzetti di pietra dura conficcati all’estremità.

Qui il “buon pastore” non è colui che accarezza teneramente la pecorella ferita, ma è il lottatore che, a prezzo della propria vita, affronta chiunque mette in pericolo il gregge. Gesù è il vero pastore legato in modo così passionale alle sue pecore, che è pronto a sacrificare la vita per loro.

Non così è il mercenario. Un uomo che veniva assunto per portare al pascolo le greggi di tutti. Aveva, per legge, degli obblighi precisi, come affrontare un lupo, due cani, un animale piccolo, ma poteva fuggire davanti a un leone, a un leopardo, a un orso o a un ladro. Nel contratto non c’era la clausola di essere disposto a sacrificare la vita per le pecore. Egli non si sentiva legato affettivamente al gregge e, di fronte al pericolo, se appena gli era consentito, fuggiva; non gli interessava la sorte delle pecore, ma lo stipendio.

La similitudine del “buon pastore” è rivolta non solo a chi presiede la comunità ma a ogni cristiano, che deve avere un cuore da vero pastore, deve coltivare la generosità incondizionata del Maestro nei confronti dell’uomo e segue un’unica legge: l’amore “folle” per l’uomo, quello che non conosce confini, non si ferma di fronte a nessun ostacolo, a nessun rischio, a nessun sacrificio. (Spunti tratti dal commento di Armellini)

Gesù lo afferma così: conosco le mie pecore: è la certezza di essere amati. Le mie pecore conoscono me: è la scelta di lasciarsi amare. Do la mia vita per le pecore: è il modo per dire l’Amore.

È questa dunque la verità: sono conosciuto da Lui e con la massima tranquillità mi posso abbandonare al suo Amore perché uno che dà la vita per me, non può mentire; è il sigillo di garanzia!

Ed è anche il segno del vero incontro con Lui Persona viva. È relazione unica e sicura soprattutto per la fedeltà costante da parte sua; Lui non viene meno e lo posso verificare quando nel momento della prova, mentre la sento gravare su di sé, Egli la trasforma in dono, perdono e grazia particolare; e con ciò mi ricorda che ha dato la sua vita per me, mi è vicino e vive quella prova insieme con me.

È per quella sua vita donata che posso anch’io donare la mia, perché altri ne ricevano il beneficio. È bello pensare che io ho dato vita ad altri con la mia stessa vita.

Il mio servizio umile al malato oggi, domani…è come qualcosa di me che passa a lui e resta per sempre…”Venite benedetti nel Regno eterno…perché ero malato e mi avete aiutato”.

La mia serenità donata a chi è triste, si prolunga in un altro ed è molto più grande.

La mia pace e il mio perdono trasfusi in chi mi incontra fanno un cerchio più grande contro la violenza ed io non sono più solo a credere che la pace è possibile.

La mia fede, testimoniata davanti a tutti perché vita della mia vita, mi fa sentire padre e madre di tanti che credono alla testimonianza.

La mia speranza, certezza di un mondo e di una umanità diversa, si prolunga in chi comincia a sperare insieme con me.

Il mio amore, diffuso in tante persone, diviene esercito di anime per una nuova civiltà.

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