29.09.2019 – 26^ Tempo Ordinario: Il danno della classificazione e il bene della condivisione – lc 16,19-31

Pubblicato da Stefano, Con 0 Commenti, Categoria: Liturgia, Omelie,

“C’era un uomo ricco che si dava a lauti banchetti … e un povero, di nome Lazzaro, che stava alla sua porta, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola” (Lc 16, 19 -21).

Qui nel Vangelo si coglie che la suddivisione tra ricchi e poveri, che si trasforma poi in separazione, non sta nel vocabolario di Dio. Siamo noi che, osservando l’andamento delle cose, l’abbiamo ratificata.

Ma si tratta di due categorie innaturali che descrivono un modo di vivere reale ma che fa vedere tutto il disumano che ci sta sotto. Ed è insostenibile. Non ci vuole di certo il vangelo per dirlo, basta il dato naturale: quale uomo può dirsi più di un altro? E dove è scritto che abbia il diritto ad avere di più?

Dice sant’Agostino: “Non c’è da meravigliarsi che, se la superbia genera la divisione, l’amore genera l’unità”. È una fotografia di ciò che esiste davanti agli occhi.

1. La superbia camuffata in varie fogge divide, separa e ratifica come giusto un operato sbagliato o almeno lo vuol far passare per tale; cioè come un diritto acquisito.

Un tal modo di pensare e di agire, rende ciechi che credono di vedere e nascono strutture per il benessere singolo o, al massimo, di alcuni, creando con ciò voragini di malessere e di ingiustizia.

2. L’amore invece mette in atto, con atteggiamento trasparente, ciò che unisce, e fa delle differenze, sia materiali che spirituali, una ricchezza condivisa. L’amore ha gli occhi che sanno scoprire le necessità degli altri e sono in grado di guardarle e non semplicemente di vederle.

L’amore prova a togliere le montagne di individualismo egoistico, o per lo meno abbassarle, fino a rendere l’individuo incapace a gestirsi da solo.

Il ricco della parabola non sa o non comprende che è inefficace una sua bontà verso il povero, se le sue tasche rimangono sempre piene; se non condivide ciò che ha e vive in una sicurezza che lo garantisce su questa terra; e che la parabola definisce uno stato che è tale da non poter avere altro su cui contare nell’aldilà.

Il povero, invece, che riceve briciole, destinate al cane, non vede la sua condizione cambiare e può sperare solo in un futuro migliore all’indomani della morte; una speranza che la parabola assicura con certezza.

Cosa possiamo fare noi? La strada che si può percorrere in controtendenza è quella di:

1. Aver cura dei poveri o di chiunque ha un bisogno, “guardare” la loro situazione, prenderla su di sé, darsi da fare per risolverla o per risollevare chi la sta vivendo. Gesù non era personalmente povero ma ha fatto dei poveri il suo popolo nuovo!

2. Non cercare sicurezze quaggiù! È la saggezza da acquistare. Nudi siamo entrati nel mondo e nudi ne usciremo, potremo dire parafrasando Giobbe.

3.  Allenarsi ogni giorno alla condivisione di idee, tempo, anima, cose e case, denaro se c’è… Mettere in atto una vita “solidale” priva di ogni privilegio e preferenza.

4. Annunciare che “L’avidità del denaro è la radice di tutti i mali!” (1 Tm 6,10)

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