L’esempio di fraternità è il metodo più efficace e credibile dell’evangelizzazione!
, Con 0 Commenti, Categoria: Articoli,Nel 1206 Francesco Bernardone, figlio di un ricco mercante di Assisi, iniziò il cammino della profonda conversione e cambiò radicalmente il tenore della sua vita. Da ragazzo spensierato e vanitoso diventò un sincero e appassionato cercatore di Dio. Circa due anni dopo, nella sua prediletta chiesetta di Santa Maria degli Angeli, ascoltando il brano del Vangelo sull’invio dei discepoli di Gesù, ne fu molto colpito. Quando sentì che gli apostoli non devono possedere né oro, né argento, né denaro, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza, esclamò pieno di gioia: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore» (Vita Prima di Tommaso da Celano, 22: Fonti Francescane [FF], 356).
Il Vangelo gli indicò la strada e lo spinse alla missione. La conversione maturò quando, nella chiesa di San Damiano, sentì il crocifisso rivelargli la volontà divina di restaurare la casa del Signore che giaceva in rovina. L’immagine del crocifisso diventò per lui lo specchio in cui si riflettevano i volti di tutti gli uomini crocifissi. Francesco mise letteralmente in pratica le parole del Vangelo spogliandosi di ogni bene, anche dei vestiti. Con un gesto simbolico, in piazza ad Assisi, fu coperto dal mantello episcopale: da quel momento era sotto la protezione del Vescovo Guido.
Appena si formò il primo gruppo di otto compagni, Francesco li inviò in quattro parti del mondo ad annunciare la Parola di Dio. Lui aveva la consapevolezza che Dio aveva affidato alla sua comunità una missione universale, e cercava il riconoscimento del Sommo Pontefice. L’anelito di raggiungere la conformità al Signore fece nascere in lui l’idea di portare la Buona Novella agli infedeli.
Dopo due tentativi falliti di raggiungere la Terra Santa e il Marocco (1212-1215) e dopo aver inviato frate Egidio a Tunisi e frate Elia in Palestina, nel 1219 Francesco aderì alla spedizione crociata e arrivò in Egitto. Durante un armistizio Francesco e frate Illuminato si recarono al campo musulmano e chiesero udienza al sultano al-Malik al-Kamil. «Ai saraceni che l’avevano fatto prigioniero lungo il tragitto, egli ripeteva: “Sono cristiano, conducetemi al vostro signore”. Quando gli fu portato davanti, osservando l’aspetto di quell’uomo di Dio, la bestia crudele si sentì mutata in uomo mansueto, e per parecchi giorni l’ascoltò con molta attenzione, mentre predicava Cristo davanti a lui e ai suoi» (Giacomo da Vitry, Historia Occidentalis 14: FF 2227). Al-Malik al-Kamil, che nel concorde giudizio delle fonti era uomo saggio e generoso, accolse i frati con cortesia e benevolenza. Francesco non si limitò a scambiare le cordialità, ma con semplicità, franchezza e forza professò la fede cristiana e annunciò il kerygma della salvezza in Cristo. Al contrario dei discorsi di molti cristiani dell’epoca e perfino delle allocuzioni papali, il Poverello non usò un linguaggio offensivo nei confronti della fede islamica, non ferì la sensibilità religiosa del suo interlocutore.
Il viaggio di Francesco in Oriente risultò apparentemente infruttuoso: il frate non convertì il sultano e non ottenne la palma del martirio. Tuttavia, il Poverello si guadagnò un amico e affidò al suo Ordine il compito di continuare la missione e il dialogo pacifico con il mondo islamico. La sua esperienza vissuta gli permise, dopo il ritorno in patria, di elaborare un progetto missionario per il suo Ordine con una particolare attenzione ai fratelli musulmani.
La novità del disegno missionario concepito da Francesco si manifesta nel titolo del capitolo XVI della Regola non bollata: “Di coloro che vanno tra i saraceni e gli altri infedeli”. Infatti, mentre a quel tempo i crociati andavano “contro” (contra) i musulmani, il Poverello manda i suoi frati non solo “a” (ad ) loro, ma li invia addirittura “tra” (inter), in mezzo a loro. La creazione di una colonia occidentale è completamente estranea allo spirito francescano.
I presupposti per un’efficace attività missionaria sono la solidarietà e l’amicizia con la gente locale e la conoscenza dell’ambiente islamico. In seguito Francesco presentò due modi di comportarsi dei missionari nel territorio musulmano:
«Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani.
L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la Parola di Dio perché credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani» (Regola non bollata, cap. XVI, 7-10: FF 43).
In questo brano si vede una nuova e originale strategia missionaria di Francesco. In primo luogo si colloca la testimonianza della vita animata dall’amore di Dio. La sola presenza deve essere significativa ed eloquente. L’esempio di fraternità è il metodo più efficace e credibile dell’evangelizzazione.
I frati devono quindi rinunciare a ogni pretesa di superiorità e di dominio, rispettare i diversi costumi e inserirsi, come cristiani, nel contesto locale. Mediante la pratica delle virtù cristiane i testimoni silenziosi del Vangelo sono tenuti a confessare con coraggio e umiltà la loro fede. Il secondo atteggiamento e l’annuncio esplicito della Parola di Dio, che potrà avvenire solo dopo un’attenta valutazione delle circostanze e dopo una paziente attesa del momento opportuno. Il missionario non può allora appropriarsi della Parola, non può essere l’usurpatore irruente della Buona Novella, ma deve immergersi nell’ascolto di Dio e percepire la sua volontà. Francesco non perde di vista l’obiettivo principale della missione, cioè la conversione degli infedeli. L’adesione alla fede deve essere una scelta personale e non affrettata, anzi, va vista come l’efficacia della testimonianza e dell’annuncio dei frati.
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